La sindrome del malato terminale

Ma come si fa a ripetere “ci stanno rubando il futuro” se uno non ha cominciato nemmeno a guadagnarselo?

A. Polito

San Salvario è uno storico quartiere torinese, di cui si è parlato per decenni più per i problemi della delinquenza e della difficile convivenza multietnica che per i suoi palazzi stile Liberty.

Oggi il quartiere è stato riqualificato e si è rilanciato come cuore della movida di Torino. Ogni due metri, un locale in voga per aperitivi e gozzoviglie di ogni tipo. Frotte di avventori alternano cocktail a lounge-bar, “shottini” a vinerie, apericene a rhumerie. 

San Salvario è insomma il posto dove studenti scialacquano denari, dove precari maloccupati spendono e spandono e dove disoccupati a vario titolo sperperano soldi che non hanno.

Questi sono gli stessi soggetti che poi reclamano più soldi, più diritti, più dignità. Più soldi per spenderli in alcol (e altri tipi di intrattenimento). Più diritti per “devastarsi” più liberamente. Più dignità per dignitosamente vomitare all’angolo della strada.
“Movida” è un bel modo, esterofilo, per evitare di dire “degrado”.

Quella di cui vi abbiamo appena parlato, ovviamente, è la versione paternalista e reazionaria di chi non perde occasione per crocifiggere i “giovani”.

Altrettanto ovviamente, è una visione che nasconde in sé una parte di verità.

Principalmente, però, quello che abbiamo fotografato poche righe or sono è un ritratto di comodo, fatto da coloro che non perdono occasione di attaccare la generazione dei venti-trenta-quarantenni.

Scendi in piazza a protestare? Futile ribellismo, andate a lavorare. Vivi ancora a casa? Sei un bamboccione. Ti trastulli nei  locali nei weekend? Allora non stai poi così male. Lavori dieci ore al giorno e non segui la politica? Non vuoi essere artefice del tuo destino.

La colpevolizzazione della generazione più sfigata dell’ultimo settantennio è facile.

Rientra nel quadro di una generale colpevolizzazione del singolo individuo, abbandonato nel magma della globalizzazione da quelle forze politiche, sociali e familiari che una volta rappresentavano un appiglio.

Il messaggio ai giovani è: la colpa è vostra, precari e disoccupati, “neet” di ogni dove. È vostra che non siete capaci a guadagnarvi un lavoro, un’istruzione adeguata, una casa in cui vivere.

Il resto non c’entra, le condizioni non sono mai favorevoli, ma a queste bisogna adattarsi.

Che lo stiate facendo a voucher, gratis, sfruttati e discriminati, il risultato è che un futuro non ce l’avrete comunque. A Polito, che abbiamo citato in apertura, non interessa. Polito ha un compito: difendere il potere, difendere le condizioni date, i rapporti di forza dati.

È certo che sparare su questa generazione è come sparare sulla croce rossa.

Perché è la prima generazione in cui i figli saranno pagati meno dei padri.

Perché effettivamente questa è e sarà una generazione inconcludente.

Una volta c’era l’idea che si potesse fare “ingegneria sociale”, che il mondo potesse essere cambiato, che le forze della storia le potevano mettere in moto le masse in piazza.
Tutti, a destra, come a sinistra, credevano che il mondo fosse qualcosa mai immobile, ma in movimento, su cui però si poteva intervenire. All’epoca, si credeva ancora nella possibilità di una rivoluzione, di un quadro differente. Oggi, tale concezione mentale è cambiata.

Oggi siamo individui atomizzati e disintegrati dal nostra tessuto sociale. Rassegnati, anche se qualcuno ancora prova a reagire.

Una volta si pagavano i contributi per avere una pensione, oggi la paghiamo per garantirla ai nostri genitori (sempre più bassa e sempre più tardi). Una volta si imparava un mestiere, si rilevava addirittura la propria bottega, dopo la gavetta. Oggi è gavetta infinita.
Eppure la reazione stenta a mobilitarsi.

Ci si consenta un’ultima citazione:

La maggior parte dei miei coetanei sono sconfitti, penso, sebbene non abbiano ingaggiato nessuna battaglia. È gente implosa. Quarantenni, sono tornati a vivere a casa dei genitori, si imbottiscono di psicofarmaci. Non credo di essere il solo a conoscere persone che se la passano così.


No, Christian Raimo, autore di questa citazione, non è il solo a conoscere persone che se la passano così.

E allora lasciateci almeno la libertà di un ultimo aperitivo, direbbero molti della nostra generazione.

Il sistema stesso ci chiede di godere. Ci offre occasioni transitorie di godimento. Ci dice che null’altro c’è se non questo piacere transitorio e poi cercarne un altro. Ci consente di non pensare ai nostri impieghi precari, alle nostre undici ore di lavoro mal retribuite, ai nostri matrimoni falliti, offrendoci a piene mani superalcolici e slot-machine. Finché ce né…

È questa la sindrome del malato terminale: finché ho qualche soldo lo sperpero, finché ho un briciolo di energia lo impiego a ricercare il piacere. Perché domani non avrò più né energia né piacere. Quali progetti dovrei intraprendere con un’aspettativa di vita a così breve termine? Quale futuro offre tutto questo nichilismo?

Siamo passati dal “del doman non v’è certezza” al “v’è la certezza che non c’è un domani”.

Ogni progettualità individuale è sparita nel precariato lavorativo. Ogni progettualità sociale è schiacciata da una percezione di impotenza rispetto alle forze dell’economia (i mercati), delle élite (se la Nato bombarda la Federazione Russa…), del terrorismo (possono colpirci ovunque e in qualunque momento). Ogni progettualità spirituale è annegata nella spinta compulsiva a consumare e a godere.

Allora la nostra generazione è vittimista, è vero.
Ma non c’è nulla di peggio per un vittimista di essere davvero vittima di un sistema che lo opprime.

Allora la nostra generazione è paranoica, perché ha paura.
Ma non c’è nulla di peggio per un paranoico che essere davvero perseguitato.

Allora la nostra generazione è narcisa ed edonista, giusto.
Ma non c’è nulla di peggio per uno scialaquatore egoista che essere in un sistema che si basa su indebitamento, consumo e precarietà esistenziale.

Allora la nostra generazione è davvero inconcludente.
Questo vuol dire che non c’è opportunità migliore per passare all’azione. Siamo una generazione di snodo in un deserto politico e sociale. Questi decenni vedranno probabilmente il mondo prendere direzioni fino a ieri impensabili. Nessun partito o movimento ci offrirà soluzioni pre-confezionate, ma starà a noi reinventarcele.

Starà a noi cercare di essere pronti, lottando contro il sistema ed evitando di adeguarci ad esso. Per responsabilità verso i figli che abbiamo o che avremo: riannodare un filo che leghi le generazioni invece di metterle le une contro le altre.

Sta a noi – davvero – fare sì che Polito non abbia alla fin fine ragione. Ma l’unico modo di dimostrargli che ha torto è fare esattamente il contrario di quello che desidererebbe lui.

Lascia un commento